Pellet dai rifiuti: facciamo il punto della situazione

Il pellet: la situazione attuale e le prospettive

Abbiamo discusso in un precedente articolo su come riconoscere il pellet di qualità citando alcune delle certificazioni disponibili per il pellet prodotto dal legno, il più diffuso e conosciuto.

Ma è possibile produrre del pellet con materiali diversi? Quali i vantaggi e quali, invece, i problemi?

Premettiamo subito che molte stufe a pellet indicano nelle istruzioni di usare solo pellet di legno (alcune lo mettono come condizioni di garanzia). Quindi in questa fase c’è poco da fare: la produzione di pellet da rifiuti organici avrebbe poco mercato nel settore del riscaldamento domestico in Italia.

Tuttavia qualcosa si sta muovendo, sia all’estero che qui da noi, oggi cercheremo di chiarire come produrre pellet.

Il pellet dai pannolini sporchi

Un’azienda giapponese, La Super Faiths Inc., propone un sistema brevettato di produzione di pellet dai… pannolini sporchi!

Ecco sul loro sito come spiegano in modo eloquente i motivi della produzione di pellet dai pannolini. 

 

 

 

I pannolini sporchi, sostiene sempre la Faiths, incidono negativamente sulla vita degli inceneritori di rifiuti, accorciandola (per non parlare dell’inquinamento che producono se sotterrati) questo modo di produrre pellet privilegerebbe quindi una visione di economia circolare molto fluida e positiva. 

I vantaggi del pellet ricavato dai pannolini usati, non sono pochi e sono sostanzialmente i seguenti:

  1. 1) Risparmio economico perché prodotti dall’immondizia (anche quelli in legno provengono, però, dagli scarti);
  2. 2) Sostenibilità ambientale: l’uso delle biomasse invece del carbone riduce le emissioni di CO2
  3. 3) Uso di materiale assolutamente sicuro, i pannolini sono pensati per essere bruciati dopo l’utilizzo (ma allora perché, come detto in precedenza, danneggiano gli inceneritori?);
  4. 4) Elevata resa calorica, perché i pannolini includono polimeri e la fibra di legno.

La Super Faiths è venuta di recente in Italia a presentare il suo prodotto durante Ecomondo 2014, la fiera di Rimini dedicata all’innovazione nel mondo della green economy, che si propone come piattaforma europea di incontro fra aziende nel settore delle energie alternative.

E per quanto riguarda la produzione nostrana?

Circa un anno fa Tekneco pubblicava un interessante articolo sul tentativo di un’azienda friulana, la Cattelan Distributori Automatici (CDA), di produrre in collaborazione con l’Università di Udine pellet organico a partire dai fondi di caffè; della ricerca si sarebbe occupato un suo spin-off, Blucomb, specializzato nella produzione e utilizzo di carbone vegetale.

I vantaggi sembrerebbero moltissimi: potere calorifico maggiore del legno, riutilizzo di ciò che oggi è solo uno scarto ed esistenza di un precedente americano, ovvero un biodiesel ricavato dal caffè che avrebbe i requisiti degli standard internazionali.

Ad oggi, però, pare che sia ancora tutto fermo (così afferma il direttore di Blucomb Alessandro Deana).

La partita sembra abbastanza importante, considerando anche l’interesse generato dalla produzione di energia a partire dai rifiuti. Stando al recente rapporto stilato da ISPRA-Federambiente sul “Recupero energetico dai rifiuti urbani in Italia”, così come riassunto da Casa Clima: 

"Supera i 5000 GWh l’energia ottenuta dall’Italia trattando i rifiuti urbani. Nell’ultimo anno, l'Italia ha recuperato esattamente 4.193 GWh di elettricità e 1.508 GWh di energia termica, quantità che, sommate, potrebbero contribuire in maniera significativa al fabbisogno energetico di metropoli con quasi 1 milione di abitanti come Napoli o Torino. Nel 2013 il recupero di energia si è più che raddoppiato rispetto al 2003 (1.885 GWh di energia elettrica e 492 GWh di energia termica)."

L’Italia è in linea con i paesi avanzati, nonostante le evidenti disparità sul territorio nazionale. Chiaramente esperimenti come quelli di Super Faiths e Blucomb potrebbero costituire dei significativi passi avanti in materia di recupero energetico, se trovassero un concreto sbocco sul mercato.

A quel punto anche i produttori delle stufe a pellet e in generale i lavoratori del riscaldamento domestico dovrebbero adeguarsi, non credete?

Scritto da Gruppo San Marco

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